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Trieste seconda in A2 per presenze. Ma a far notizia sono le assenze…

Articolo tratto da Tsportinthecity.it a firma Francesco Freni

I numeri della Lega

Sono stati pubblicati dalla LNP i dati di affluenza del pubblico alla fine del girone d’andata nelle 24 arene di A2. I numeri rimangono piccolini, peraltro proporzionati ad impianti che in molti casi sono poco più di tensostrutture, ma fanno registrare quasi ovunque decisi incrementi. Nella top five non può che eccellere il Paladozza, dove la Fortitudo gioca mediamente davanti a più di 5100 spettatori, quasi 1000 più della passata stagione complice il campionato di vertice disputato fin qui delle aquile biancoblu. Sono numeri che, tolte Milano e la Virtus, porterebbero la Effe in cima ai dati di affluenza della pallacanestro italiana in generale, ma si sa, paragonare l’ambiente felsineo a qualunque altro nel Belpaese non ha senso per appartenenza, fede a prescindere, passione e tradizione. Al secondo posto, prima fra le “umane”, si piazza Trieste, che ha potuto contare mediamente, nelle sei partite disputate in casa, su 3539 spettatori (grazie ovviamente ai due derby disputati in via Flavia), che hanno occupato il 53% dei posti disponibili al Palatrieste. Curiosamente, anche qui sono più di 1000 le presenze di incremento rispetto al girone d’andata 2022/2023, che però vedeva i biancorossi battersi in Serie A: si tratta di un incremento addirittura del 43%, dato inaspettato che ha per certi verti del clamoroso. La Pallacanestro Trieste si piazza al secondo posto anche per gli incassi, dietro ovviamente alla imprendibile Fortitudo. 

Tanto per inquadrare l’ordine di grandezza, dietro a Bologna e Trieste si piazzano Trapani (2.957 spettatori medi), Udine (2.947) e Rimini (2.927). Oltre quota 2.000 vanno mediamente anche Cantù (2.774), Forlì (2.634), Verona (2.172) e Cividale (2.038). Decima è Treviglio con 1.850. Il Club che riempie più posti del suo palasport è Trapani, al 98% di quelli disponibili. Seguono Fortitudo Bologna (95%), Rimini (94%), Udine (84%), Cividale (74%) e Trieste (53%).

Arcieri: “è un piazzamento che ci rende orgogliosi”

Visto così, sembrerebbe un ottimo risultato, celebrato anche dalle parole di Michael Arcieri: “I dati che ha diffuso oggi la LNP ci rendono orgogliosi – il commento del GM Michael Arcieri – perché non si tratta solo di numeri, si tratta di persone. Ogni tifoso è importante e contribuisce a creare questo ambiente meraviglioso che è la Pallacanestro Trieste. Siamo contenti che la squadra, le iniziative che stiamo facendo per i tifosi e il vostro entusiasmo ci permettano oggi di essere tra i migliori club d’Italia come affluenze in palazzetto. Guardando il percorso che stiamo facendo e come ci stiamo rialzando dopo l’anno scorso, il sapere di essere cresciuti così tanto rispetto allo scorso anno mi fa pensare solo a una cosa: GRAZIE! A tutte le tifose e i tifosi che ci continuano a dare fiducia e che amano i nostri colori. Continuiamo a lavorare per voi, per la squadra, per la città”.

Ma è veramente un ottimo risultato?

Bicchiere, dunque, mezzo pieno? Niente affatto. Trieste, lo ha dimostrato a più riprese nella sua storia, può dare molto di più. Senza voler per forza evocare l’epoca del Red Wall, con sold out a ripetizione che però vanno circoscritti nel tempo dai playoff della primavera 2017 a Trieste-Sassari del febbraio 2020, il pubblico triestino ha comunque reso il Palatrieste un ambiente notoriamente ostico in cui andare a giocare praticamente per tutta la sua storia pluridecennale per frastuono, passione, tifo. Certo, i numeri dell’era Alma hanno per un po’ elevato la città al rango di “basket city” di livello europeo, ma tutto sommato si è trattato di una bolla, cominciata a sgonfiarsi con la rivelazione del bluff quasi letale della stessa era Alma e scoppiata definitivamente agli albori della pandemia per mai più ripresentarsi se non in singole, fugaci, occasioni. I palazzetti desolatamente deserti dei due anni di Covid hanno indotto le masse, volente o nolente, a seguire il basket dai vari servizi di streaming, al riparo da rischi di contagio, instillando una comoda consuetudine difficilissima da sradicare.

Ma al di là di questo periodo di esilio obbligato, è risaputo che la pallacanestro in città è una moda, e come qualsiasi altra moda è soggetta ad andamenti ciclici, esplosioni di entusiasmo in cui farsi vedere al palazzetto è un must domenicale imprescindibile (per chi le ha vissute, già solo il ricordo delle stagioni dell’Hurlingham e della Stefanel suscitano ancora sorrisi beati e sognanti), magari legati a personaggi e giocatori particolari, a cui si alternano periodi di oblio, di accantonamento, di distrazione.

I 3500 spettatori medi al Palatrieste, che probabilmente scendono a meno di 3000 senza le partite con Udine e Cividale, sono l’indice preciso di uno di questi down, ben oltre i trionfalistici paragoni con la disgraziata stagione passata, una sorta di via crucis culminata giustamente con una retrocessione. Un down nel quale la pallacanestro triestina ha perso la quasi totalità degli “occasionali”, dei simpatizzanti, di quella parte di pubblico che esula dalla curva (sempre presente in casa ed in trasferta, spesso esaurita al Palatrieste) e dallo zoccolo duro che questa squadra non la abbandona mai, senza se e senza ma: i 3500 citati dalla LNP stanno tutti qua. La pallacanestro, vai a sapere perché, oggi non è più top trending a Trieste: ognuno ha la sua ricetta, in molti cercano di individuarne cause, motivazioni, giustificazioni, colpe. Non si può certo imputare molto all’attuale proprietà, subentrata in corsa 12 mesi fa rilevando una situazione sportivamente già compromessa, forse ancora recuperabile ma sicuramente molto difficile. La retrocessione, primo plausibile motivo di disaffezione dei tifosi, pur costituendo un durissimo colpo alle ambizioni di CSG, non ne ha intaccato l’intenzione di perseguire gli obiettivi del suo progetto, e già il fatto di non essersela data immediatamente a gambe garantendo la ripartenza dovrebbe costituitre motivo di gratitudine nei suoi confronti.

Una disaffezione che viene da lontano

Piuttosto, il disastro dello scorso maggio è la conseguenza di anni di “voio ma no poso”, di budget risicati messi assieme per miracolo, di poca capacità di guardare in alto, di celebrazione di poco memorabili piazzamenti di rincalzo, di rifiuto anche di provare a volare. Di anni, anche, di comunicazione sbagliata, di marketing ridotto all’osso, di promozione del marchio (e del prodotto pallacanestro tout court) praticamente nulla, tutti aspetti che hanno distolto l’attenzione soprattutto dei più giovani in un epoca in cui l’apparenza, la presenza costante e con contenuti accattivanti sui nuovi canali di comunicazione è imprescindibile (qualcuno ha mai sbirciato lo strepitoso profilo Tik Tok della Dinamo Sassari? Ecco, intendiamo esattamente quello). CSG sta affannosamente cercando di recuperare anche su quel piano, sta tornando a produrre contenuti multimediali di ottimo livello, ha creato un gruppo di lavoro per trovare il modo di recuperare il terreno perduto con iniziative che portino i giocatori, in un modo o nell’altro, a diretto contatto con la gente. Ma è un lavoro difficile, quasi impossibile in una città popolata, notoriamente, da brontoloni che pensano di avere la soluzione ad ogni problema -ovviamente diversa da quella messa in pratica dagli altri. Brontolii che talvolta arrivano al limite dell’offensivo, amplificati a dismisura dalla possibilità offerta dai social di vomitare urbi et orbi la propria rabbia e le proprie frustrazioni, la propria presunzione ed il proprio malcontento, avvelenando ulteriormente un ambiente la cui serenità partiva minata già in partenza.

E comunque, molto più di ogni iniziativa che tenti di riavvicinare il club al suo pubblico, specie quello assente dal palazzetto ma ancora partecipe delle sue sorti, ad avere un effetto taumaturgico, in ogni sport a qualunque livello, sono le vittorie, magari coniugate all’ambizione: se la squadra continuerà il suo percorso di crescita e continuerà a scalare posizioni in classifica, magari arrivando al meglio all’inizio dei playoff, gran parte del lavoro di risalita dal fondo del gradimento sarà completata, riservando soddisfazioni importanti nella fase più importante della stagione. 

Il nodo prezzi

Infine, inutile ignorarlo, c’è il nodo dei prezzi scelti per abbonamenti e biglietti, con una campagna abbonamenti ambiziosa ma non certo tagliata per cercare di riavvicinare le famiglie ed i ragazzini (che poi costituirebbero un investimento sicuro per le prossime stagioni). E’ una scelta di campo, per niente casuale: CSG ha voluto dare un taglio di eccellenza al proprio prodotto, rifiutandosi cocciutamente di svenderlo a prezzi d’occasione. E’ anche un azzardo, che si è tradotto in un numero di abbonamenti inferiore, seppur di poco, rispetto a quanto preventivato. Del resto, in una città dove la gente -che mediamente gode di discreto benessere al di là delle continue lamentele- è capace di fare un chilometro di fila davanti al chiosco che offre anguria gratis, o si mette pazientemente in coda per ore chiusa in macchina per attendere il proprio turno di usufruire dell’offerta da tre euro per un panino ed una bibita di una nota catena di fast food, una simile scelta di prezzi (del tutto coerente al concetto di spettacolo di stampo americano) non poteva che suscitare reazioni stizzite da parte di chi si considera tradito da anni di mediocrità. E dunque, ancora, sono in molti a preferire il divano e lo streaming -che di economico ha peraltro ben poco, specie in rapporto alla qualità- allo spettacolo dal vivo. Anche sotto questo aspetto la società può fare molto: come in campo ha preso le misure ad un campionato di cui tre mesi fa sapeva più nulla che poco, così alcuni passi falsi commessi nella confezione del listino prezzi sono ancora in tempo per essere corretti. Iniziative per le partite casalinghe del girone di ritorno, che non prevedono più alcun big match tranne quello con Verona, nulla di particolarmente eclatante, magari qualcosa per attrarre i più anziani o i più giovani, i figli assieme ai nonni o ai genitori. Per poi arrivare preparati alla fase cruciale della stagione, ai playoff, puntando stavolta veramente ai famosi 6000, al “six thousand, sixth man” che era l’ambizione, invero piuttosto acerba, per la partita contro Forlì. Vincendo, così, la scommessa di far muovere da casa i numerosi couch potato, gli integralisti del divano+telecomando e pop corn. 

Incontriamoci a metà strada

Insomma, il ponte che dovrà prima poi portare a ricollegare le due sponde del canyon scavato fra la città e la sua squadra di pallacanestro deve essere necessariamente costruito partendo da entrambe le parti, magari incontrandosi nel bel mezzo del precipizio. Sempre che Trieste voglia tornare al più presto ai livelli che le competono… La risalita, missione difficilissima (qualcuno però si ricorda un certo slogan che recitava “Mission Completed”?), non potrà che passare attraverso un palazzetto che sia nuovamente un fortino inespugnabile, un ambiente sportivamente ostile per chiunque, un boost di energia imprescindibile per risollevare morale e consapevolezza in giocatori che ne hanno evidentemente bisogno come l’aria, ben oltre le loro capacità tecniche ed atletiche. Naturalmente, si potrà anche scegliere diversamente, accontentandosi di credere che Trieste possa gioire per un secondo posto da 3500 spettatori. In quel caso, sarà però preferibile, per tutti, smettere di lamentarsi.

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