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Trieste, ripassi alla prossima sessione

(Photo Credit: Sito Ufficiale Pallacanestro Trieste)

Articolo tratto da Tsportinthecity.it a firma Francesco Freni

PALLACANESTRO TRIESTE – LUISS ROMA 85-88

Pallacanestro Trieste:Obljubech ne, Bossi 3, Filloy 19, Rolli ne, Deangeli 2, Ruzzier 11, Camporeale ne, Campogrande 12, Candussi 14, Vildera 13, Ferrero 5, Brooks 6. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni, N. Schlitzer.

Luiss Roma: Murri 2, Villa 3, Fallucca 6, Pasqualin 3, D’Argenzio 11, Jovovic 1, Sabin 28, Miska 12, Basso ne, Cucci 9, Salvioni 13. Allenatore: A. Paccariè. Assistenti: M.R. Esposito, A. Righetti.

Parziali: 26-20 / 26-15 / 18-24 / 15-29

Progressivi: 26-20 / 52-35 / 70-59 / 85-88

Arbitri: R. Radaelli, C. Maschietto, C. Berlangieri.

Gli universitari capitolini tengono in via Flavia una lectio magistralis sulla voglia di giocare rimanendo sempre concentrati sulla partita e sugli attributi necessari a rifiutarsi di arrendersi qualunque cosa succeda. Dal canto loro i compassati fuoricorso triestini, che si illudono per tre quarti di partita di poter disporre degli avversari, non prendono appunti e ripiombano senza reazione apparente nella consueta irritante abulia che li porta a smettere letteralmente di giocare con la testa e con le gambe: stavolta succede alla fine della partita anziché in apertura, ma poco cambia, il risultato è lì, sul cubone, a guardare dall’alto in basso in modo minaccioso e con tono di rimprovero una squadra ed un coach usciti a testa china sotto una sacrosanta pioggia di fischi. Stavolta succede che, quando mancano 17 minuti alla sirena finale di una serata in pantofole, sul 61-41 i ragazzoni in biancorosso comincino probabilmente a pensare ai punti del Fantasanremo anziché a non permettere facili penetrazioni facendosi battere sistematicamente nell’uno contro uno, a non dimenticarsi dell’uomo libero sugli scarichi, a catturare anche un singolo rimbalzo in difesa (18 quelli concessi a Roma), a non intestardirsi a forzare tiri senza senso da tre contro la zona avversaria che schiera tre giocatori con quattro falli, a non sbagliare tutto nel concitato finale nonostante un paio di inutili time out. I compassati fuoricorso di cui sopra finiscono sulle gambe, penalizzati da una condizione atletica che evidentemente non permette loro di reggere un confronto in un campionato professionistico per 40 minuti. Contro la Luiss danno tutto quello che hanno per 33 minuti, e tutto quello che hanno è più che sufficiente per dominare una squadra giunta ottava nel girone Verde, arrembante e mentalmente solida ma dotata di un realizzatore decente e nove comprimari, di pochi chili e centimetri ma attributi in abbondanza. Peccato, però, che le partite non durino 33 minuti, per la sfortuna di giocatori che prima vanno in riserva e poi si piantano letteralmente in mezzo alla strada. Vedere tal Domenico D’Argenzio, playmaker di 176 centimetri nato nel 2001, portare letteralmente a spasso Michele Ruzzier facendolo impazzire in difesa, battendolo in ogni singola azione nell’uno contro uno sul perimetro creando sistematicamente vantaggio per i propri compagni liberi sotto canestro, e mandandolo letteralmente in confusione in attacco, dove il buon Michele mette in scena una collezione di orrori che non hanno mai fatto parte del suo repertorio (se non altro mai tutti insieme raccolti in cinque minuti), è il paradigma esatto di ciò che la Pallacanestro Trieste è oggi: una squadra senza direzione, fatta di giocatori sfiduciati e stanchi, preda di un chiarissimo blackout comunicativo con una panchina che dal canto suo dimostra di non aver la minima idea di che pesci pigliare. Ma non è solo la direzione tecnica a mostrare ormai la corda, sebbene alcune scelte lascino perplessi quando non irritati. E’ l’intero sistema del gruppo squadra ad essere coinvolto in un vortice di negatività che si autoalimenta ed ormai può essere spezzato esclusivamente in un modo: cambiando. I proclami di volontà di pronta riscossa, di lavoro più duro in palestra, di processo progressivo di crescita (che però in questo momento pare più un regresso), che puntualmente arrivano nei deprimenti post partita non sono più sufficienti. Può darsi che sia troppo tardi, ma non c’è più alternativa ad imboccare una strada diversa. La squadra, così com’è, è al capolinea in questa stagione: non si vedono segnali di inversione dell’inerzia, e la discreta prima parte di partita contro Roma non può e non deve illudere che ciò possa avvenire. Rinunciare alla via americana in panchina sarebbe una scelta dolorosa, perché su di essa si erano concentrate le speranze del progetto della proprietà, ma ammettere di aver puntato su una soluzione non adeguata al compito specifico che le viene richiesto, e puntare già da ora su un allenatore che possa essere considerato un investimento, una sorta di prima pietra della prossima cruciale stagione, non deve essere considerato un segno di resa, bensì di coraggio, maturità e lungimiranza. Da non sottovalutare, in tal senso, la frattura ormai insanabile con la tifoseria, specie con una curva che stavolta arriva ad un centimetro dal passare alle vie di fatto. Cedere agli umori della piazza prendendo decisioni di pancia basate esclusivamente su questo è ovviamente una strada impercorribile e foriera di errori certi, ma questa proprietà e questo vertice societario, giunti a Trieste in un momento di down che viene da lontano ma che ora si trovano loro malgrado a maneggiare, hanno l’obbligo di riconquistare la fan base, di ricucire uno strappo sempre più ampio, e non si possono più permettere di rimanere sordi a quello che ormai è divenuto un coro unanime, che coinvolge i tifosi più accesi e le famiglie, i ragazzini ed i veterani della tribuna, i neofiti e gli addetti ai lavori.

Naturalmente, un avvicendamento in panchina, magari un ritorno a metodi più tradizionali di allenamento ed impostazione delle partite, ed anche di nerbo emotivo nei rapporti con i giocatori, darebbe una sferzata all’ambiente e toglierebbe numerosi alibi, ma avrebbe un effetto che si esaurirebbe nel breve periodo, come succede sempre in situazioni analoghe. Non sarebbe in ogni caso sufficiente, perchè i problemi non risiedono solo a bordo campo, ma anche, e soprattutto, nei 28 metri di parquet: partono da lontano, dal momento del concepimento di una ossatura sbagliata della squadra, con errori commessi sia nella struttura che nella scelta dei singoli giocatori. E dunque, se si volesse raddrizzare questa stagione, ma anche se la si considerasse ormai compromessa e si intendesse iniziare a pensare alla prossima (vedi sopra), sarebbe indispensabile intervenire sul mercato degli italiani, aggiungendo elementi in grado di completare il roster lì dove è evidentemente carente, lì dove le soluzioni (obbligate) trovate per sostituire l’insostituibile Reyes non possono in nessun modo dare un rendimento sufficiente né per punti segnati né per rimbalzi catturati né tantomeno per efficienza sui due lati del campo. Senza contare che il rientro del portoricano, rivisto camminare senza stampelle ma ancora vistosamente zoppicante, non ha una data precisa e di certo non restituirà lo stesso giocatore ammirato nella prima parte di campionato, almeno fino alla riconquista di uno stato di forma perlomeno decente. Ovviamente non è un compito semplice: di italiani potenzialmente determinanti da subito ce ne sono pochissimi, chi ce li ha li tiene stretti, e comunque -anche nel caso trovassero poco spazio nelle loro rispettive squadre- hanno ovviamente il desiderio di tentare di rimanere in Serie A. Ancora più difficile sarebbe reperire uno straniero di livello disposto a firmare un contratto a gettone da un mese, ma la deriva non può non essere bloccata ed è necessario che la ricerca proceda magari giorno e notte, magari bussando ad ogni singola porta e ricorrendo ad ogni singola amicizia al piano di sopra. A meno di non rassegnarsi a dover cominciare ricostruire dalle fondamenta una squadra quando sarà nuovamente troppo tardi. 

Intanto, sabato prossimo, i fuoricorso in jersey biancorossa sono attesi dalla trasferta a Desio per affrontare Cantù. I presagi, in assenza di novità, non sono particolarmente rassicuranti. 

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