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Tentativi di risalita dal baratro, aspettando JR

Articolo tratto da Tsportinthecity.it a firma Francesco Freni

(Photo credit: profilo FB ufficiale Pallacanestro Trieste)

Che sapore ha una “bella sconfitta”? Amaro, come tutte le sconfitte. C’è da giurare che sul pullman di ritorno da Desio l’umore fra i biancorossi sia rimbalzato fra il rimpianto per un’occasione sprecata sul campo di una “grande” dimostratasi non certo irresistibile, e la delusione per essere costretti a tornare a casa ancora una volta con le pive nel sacco, oltretutto con una classifica che si sta velocemente cristallizzando su un avvilente, mediocre, anonimato. La consapevolezza di essere tornati a giocare a basket per quaranta minuti filati e di aver ritrovato continuità in uomini fondamentali per gli equilibri soprattutto sotto l’aspetto delle responsabilità e della leadership non può che passare in secondo piano rispetto all’ennesimo risultato in bianco.

Ciò nonostante la prestazione contro Cantù rassicura sul fatto che, perlomeno, la squadra sia ancora capace di reagire ribellandosi ad un destino ben diverso da quanto proclamato in agosto, ed ha invertito lo spin di quella che con il passare delle settimane, e con l’ambiente sempre più depresso, era diventata una vera e propria spirale di negatività, un circolo vizioso che, nostro malgrado, abbiamo visto pervadere varie versioni della Pallacanestro Trieste nel recente passato. Certo, una singola prestazione non fa giurisprudenza ed ora sarà indispensabile dare continuità a tale tendenza, però il retrogusto che permane dopo aver ingoiato il boccone amaro del -4 finale contro Cantù è quasi piacevole, soprattutto se comparato alla preoccupata rassegnazione del post Cividale, del post Rimini, del post Forlì, del post contestazione dopo la sconfitta casalinga con gli universitari romani. Non è, naturalmente, solo una questione tecnica, sebbene l’aver affrontato la proibitiva (per questa versione di Trieste in questo momento della stagione) trasferta lombarda apparendo perlomeno preparati sul piano partita in funzione dell’avversaria, oltretutto eseguendolo quasi perfettamente, siano aspetti che indicano il tentativo di mantenere la barra dritta e l’unità di intenti fra staff tecnico e squadra. Ciò che però conforta maggiormente è, invece, l’aspetto mentale, la rediviva volontà di non arrendersi dopo la prima spallata degli avversari, nemmeno quando la partita pare sfuggire definitivamente di mano nel finale su un campo ostico con tutta la pressione ambientale addosso. Sembra strano doverla considerare una conquista, dal momento che queste sono caratteristiche che dovrebbero essere date per acquisite e scontate per una squadra con questo tasso di esperienza, ma chi ha potuto osservare il linguaggio del corpo frustrato e remissivo, impotente e dimesso, deluso e nervoso che ha caratterizzato l’ultimo mese di campionato dei giocatori in canottiera rossa cominciava già a maturare una spiacevole sensazione da stagione finita, con conseguente amaro tramonto di ogni sogno di gloria. 

Ovviamente, però, il solo atteggiamento combattivo non può bastare. La perdurante assenza di Justin Reyes costringe a sperimentare tentativi di riequilibrio di ruoli e rotazioni, con la chiara impressione che si tenti di arrivarci per approssimazione. Innanzitutto la squadra di 10 titolari (al netto delle diplomatiche dichiarazioni sul momento e l’utilità che arriverà per tutti) si è ridotta strada facendo ad un roster da 4-5 totem inamovibili costretti a svenarsi sul parquet per 35 minuti, due giocatori ormai fuori dalle rotazioni destinati a comparsate riempitive da pochi minuti o dispiegati da arma difensiva alla stregua degli “special team” del football americano, ed uno (Luca Campogrande) impiegato con il contagocce ed inspiegabilmente relegato a sedere sul pino anche nelle serate migliori al tiro, trattamento che ad un tiratore puro rischia di tagliare gambe e morale. Non è dato conoscere la ragione precisa di tale scelta (giocatori fuori forma? Scarsa fiducia del coaching team? Inadeguatezza tecnica al compito? Bad execution?), ma ciò che appare evidente è la sua conseguenza: la squadra arriva alle battute decisive delle partite dopo aver spremuto gli uomini più esperti, i “goto men”, quelli che nella prima parte di stagione risolvevano situazioni ingarbugliate rientrando negli ultimi cinque minuti freschi e riposati, riducendone in modo tangibile reattività fisica e lucidità, inducendoli a fare scelte sbagliate oppure a sbagliare quelle giuste. Di questo riassetto non dispiace, invece, l’impiego intensivo del doppio lungo, con Vildera in stato di grazia sotto il ferro e nel pitturato, capace anche di tornare a duettare nel pick and roll con Michele Ruzzier, e Candussi che continua con il suo gioco prevalentemente perimetrale, potenzialmente in grado di attrarre fuori dall’area i lunghi avversari liberando spazio per il compagno di reparto e per le penetrazioni di Brooks e dello stesso Ruzzier. Certo, per poter essere veramente efficace, tale tattica dovrebbe tornare a contare su una percentuale perlomeno decente da tre punti del lungo di Palmanova, che altrimenti verrebbe sistematicamente battezzato dalle difese avversarie neutralizzando di fatto il vantaggio tecnico che è in grado teoricamente di creare. A preoccupare maggiormente, però, è la fase difensiva, rimasta ancora troppo distratta e lenta anche a Desio dove subisce nuovamente quasi 100 punti. La scelta di cambiare sistematicamente sui blocchi, che continua ad essere attuata anche in assenza di Reyes, ha effetti devastanti per la lentezza nell’esecuzione di tali cambi e per il fatto che al momento Christian non ha a disposizione difensori reattivi e dinamici, in grado di contenere gli uno contro uno in isolamento. Poca attenzione anche nel difendere sul lato debole, da dove arrivano costantemente, non annunciati, i pericoli maggiori. E’ chiaro che, anche in questo caso, la reattività di Reyes, capace spesso di recuperare situazioni disperate intimidendo gli avversari anche dopo che hanno conquistato un rimbalzo rischiando di vederselo soffiare di mano, è qualcosa che pesa enormemente nell’economia triestina su entrambi i lati del campo, ma soprattutto nel back court: sono aspetti che non vengono raccontati dalle statistiche (anche se la sua doppia doppia di media non viene mai replicata nemmeno dalla staffetta di compagni chiamati a sostituirlo), ma che rivelano come questa squadra sia stata costruita attorno all’onnipotenza del portoricano in questa categoria. 

Ora arrivano due impegni che, sulla carta, sembrano fatti apposta per ritrovare l’ottimismo, il sapore della vittoria e la sicurezza definitiva in classifica. Sebbene pensare di guardarsi alle spalle temendo anche per un piazzamento di per sé stesso deludente sia qualcosa di piuttosto riduttivo per le ambizioni di Trieste, lo sviluppo per certi verti inatteso della stagione porta anche a dover cominciare a fare calcoli di questo genere. Attenzione però: affrontare le ultime due in classifica del girone Verde senza aver fatto tesoro della dura lezione impartita dalla Luiss Roma equivarrebbe a rischiare di andare contro un platano a 120 km all’ora. La prossima avversaria Agrigento, pur perdendo di 11 contro Forlì domenica scorsa, ha fatto sudare ai romagnoli le proverbiali sette camice, giocando una partita molto energica soprattutto in difesa, costringendo la capolista a doversi conquistare ogni singola conclusione ed arrendendosi solo nei minuti finali. Dopo la successiva trasferta nel Lazio per affrontare Latina e la sfida casalinga contro la pericolosa (ma deludente) Treviglio di AJ Pacher, arriverà una pausa di due settimane oltremodo salutare, utile per accumulare benzina nelle gambe in vista di un rush finale di seconda fase che vedrà Trieste affrontare un calendario perlomeno impegnativo, con le trasferte a Torino, Trapani e Rieti, probabile antipasto della post season. Ma la pausa sarà sperabilmente anche il momento di assistere al sospirato rientro di Justin Reyes, che sta affrontando in questi giorni le prime sgambate, i primi tentativi di corsa e sta svolgendo un intenso lavoro atletico individuale per tentare di riconquistare uno stato di forma almeno simile a quello esibito fino all’infortunio di gennaio. Le sue condizioni dopo il reintegro in squadra saranno l’ago della bilancia, il turning point delle residue speranze per Trieste, che dovrà poter contare sul miglior Reyes per avere anche una minima possibilità di affrontare i playoff da protagonista. Aggiungendo, magari, il coronamento della assidua -ma finora infruttuosa- ricerca di uno o due innesti di peso fra gli italiani: male che vada, si porrebbero già solide basi per la prossima cruciale stagione. 

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