“Scugnizzi per sempre” è un assoluto capolavoro.
Me ne frego altamente di quelle che possono essere inesattezze storiche, parzialità, “abusi” romantici o ricostruzioni non perfettamente fedeli. Qua siamo di fronte ad uno spaccato sportivo a cavallo fra anni ’80 e ’90 reso emozionante dalla capacità di toccare i tasti giusti, quelli che hanno reso lo scudetto di Caserta nel ’91 un meraviglioso capitolo della commedia dell’arte sportiva italiana.
Nella corposa produzione c’è tutto: una storia fatta di sacrifici e di tante dolorose cadute, una realtà di provincia che si riscatta con talenti locali, forestieri arrivati da lontano divenuti più casertani di Gentile ed Esposito, idoli che prescindono dal risultato sportivo, un patron (Giovanni Maggiò ndr.) visionario in grado di remare controcorrente, scommesse sportive vinte ma non senza strascichi emotivi.
L’ascesa della piccola Caserta, insinuata nel potere del nord rappresentato dall’Olimpia Milano, con strafottente esuberanza, è una costruzione dal basso, dalle fondamenta…quelle rappresentate simbolicamente dalla “reggia” del basket casertano, il PalaMaggiò, eretto in 100 giorni fra la diffidenza generale. La virtù di un settore giovanile curato come si deve, l’innata poesia di chi da ragazzino ha ancora un sogno in tasca, un pallone sottobraccio e un espediente per materializzare la passione, in questo caso la bocchetta di sfiato del cesso di un bar.
Siamo noi negli occhi di Gentile ed Esposito da ragazzini, sognatori e irriverenti, siamo noi nelle ore consumate su un treno speciale ad inseguire un momento da ricordare per una vita con la sciarpa al collo, siamo noi che cerchiamo di portare a termine il progetto di un padre, siamo noi che ci troviamo trent’anni dopo abbracciandoci forte per una battaglia combattuta assieme, nella stessa trincea, che non conosce sbiadite temporali.
Uscirei dallo stereotipo, forse un po’ troppo reiterato nel film, della “Milano ladrona”, in quanto debole tesi difensiva verso una rappresentante di una pallacanestro italica che faceva giurisprudenza anche in Europa; così come il possibile furto in finale di Coppa delle Coppe con il Real Madrid. Di fronte c’era un certo Drazen Petrovic da 60 punti, la sfiga è stata incrociarlo… tutto là.
“Scugnizzi per sempre” è un crescendo di pathos ed emozioni, i silenzi sono nettamente più espliciti delle parole, gli occhi dei protagonisti il linguaggio più sincero. Azzeccata l’idea di “rubare” imbarazzi, come quello di Sandro Dell’Agnello ritrovando Oscar Schmidt o la chiacchierata di coach Marcelletti con il brasiliano. Per chi ama questo sport, anche meno religiosamente del sottoscritto, DEVE fare questa immersione, possibilmente in apnea, tutta d’un fiato, perché diventa veramente difficile abbandonare un viaggio così unico.
E’ brutto vivere di ricordi, ma in un’epoca sportiva dove tutto è fugace, effimero… questa produzione rappresenta il più bel romanzo da trovare in una soffitta impolverata. Perché? Perché chi vinceva versava lacrime di commozione e non inchiostro per firmare nuovi contratti, chi vinceva suggellava una storia vissuta con tutte le cicatrici, chi vinceva non scordava e non lasciava indietro nessuno, chi vinceva… era una città intera.
Raffaele Baldini