Fonte: Superbasket.it a cura di Raffaele Baldini
Sarebbe facile raccontare Tonino Zorzi alle prese con la sua biografia “La mia Itaca – Da Gorizia a… Gorizia, i miei viaggi baskettari”, con foto sparse a casa e appunti presi rigorosamente a mano, cambiando l’ordine dei capitoli facendo diventare matto l’editore Enrico Petrucci di BasketCoach. Un uomo che allenava anche quando si raccontava, che non smetteva mai di ragionare sulla miglior esposizione di un ricordo o su un momento cestistico raccontato al sottoscritto.
Preferisco però considerare questi miti della pallacanestro nella loro essenza verace, quella attorno ad un tavolo di un agriturismo vicino a Gorizia, fra salumi, vino e amici di una vita incrociati ai tavoli. Tonino Zorzi era tutto quello che in epoca contemporanea fa dimenticare il cellulare in macchina: aneddoti, “passing-game” spiegato con bicchieri di carta e caraffe di vino, virtuosismi con carpiati all’indietro nel passare da Dalipagic e una strafiga moglie di qualche giocatore. La sensazione è, conoscendo il “paron” ma anche chi ha avuto a che fare con lui, direttamente o indirettamente, è che Zorzi fosse la straordinaria competenza a cui affidarsi nei momenti difficili; una sorta di vecchio saggio del villaggio, uno che allenando dall’età di 27 anni ne avesse viste e sentite, uno che potesse decodificare qualsiasi intricata situazione fra due canestri.
Tonino Zorzi è stato un uomo di clamorosa coerenza, quella che se ne frega dei leccaculismi di facciata, scevra da genuflessioni professionali. La sua carriera non è stata solo quello che si è visto in prima pagina, ma anche quella dei riferimenti in basso, una moltitudine di meriti celati dietro il ruolo di assistente. E poi quel meraviglioso “fuoco sacro” presente in un ottantatreenne dalla camminata incerta, neanche sotto forma di brace sotto la cenere, ma proprio con fiamme vigorose da “scottare” chiunque avesse a tiro. Se qualcuno mi chiedesse, quale istantanea di porti dietro del “paron”? Quella meravigliosa, sublime, poetica luce negli occhi di un ultra-ottantenne che mi diceva: “do una mano ad allenare ragazzini qui a Gorizia, ma sarei pronto ad allenare e a rispondere a qualsiasi chiamata, anche adesso”.
Capite che qua non si parla di arabi, di ingaggi faraonici, di macchine lussuose… qua si parla di pura passione per la pallacanestro, di una piacevole malattia che non puoi debellare ma con cui ci devi convivere fino alla morte. Adesso il “paron” rema verso la sua Itaca, isola frastagliata e ruvida come il carattere di Tonino, ovviamente con sguardo proiettato in avanti e il vento amico della sua Gorizia che spira alle sue spalle.
Buon viaggio Maestro, grazie de tuto!