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Il tabu trentino rimane. Ma Trieste c’è

Articolo tratto da Tsportinthecity.it a firma Francesco Freni

AQUILA BASKET TRENTINO – PALLACANESTRO TRIESTE: 76-68

Aquila Basket Trento: Ellis 5, Cale 2, Ford 21, Pecchia 6, Niang 9, Forray 8, Mawugbe 5, Lamb 10, Bayehe, Zukauskas 10.

Allenatore: P. Galbiati. Assistenti: F. Bongi, D. Dusmet.

Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 8, Crnobrnja n.e., Deangeli (k) n.e., Uthoff 8, Ruzzier 2, Campogrande, Candussi 7, Brown 13, Brooks 9, Johnson 10, Valentine11.

Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.

Progressivi: 23-19 / 46-25 // 60-50 / 76-68

Parziali: 23-19 / 23-6 // 14-25 / 16-18

Arbitri: Mazzoni, Nicolini, Miniati.

Nulla da fare: nemmeno al sesto tentativo, pur con presupposti decisamente diversi dai primi cinque, la Pallacanestro Trieste riesce a violare il campo dell’Aquila. C’è però da dire che in altri tempi, davanti ad una capolista in piena fiducia che imbrocca un secondo quarto in cui centra il canestro tirando anche dallo spogliatoio arrivando senza sforzo apparente sul +24, la Pallacanestro Trieste versione trasferta degli anni passati avrebbe probabilmente subito un’imbarcata epocale da cerchiare sugli annali. Nulla di tutto ciò: la reazione arriva inevitabile e, nonostante la sconfitta, fa tirare un sospiro di sollievo a chi a metà partita vedeva già ballare fantasmi che quest’anno parevano spazzati via definitivamente. 

C’è da dire che L’Aquila conduce le danze rimanendo in vantaggio dal primo all’ultimo minuto (con un paio di sporadici quanto minimi vantaggi triestini nel primo quarto), accendendo la miccia con un “and one” di Niang proprio sulla sirena del primo quarto che frutta il +4 dopo dieci minuti, miccia che poi fa deflagrare in tutta la sua potenza la forza d’urto della capolista sui due lati del campo. Trieste ad un certo punto abbassa addirittura la testa sotto i colpi dell’avversaria, per la prima volta sembra arrendevole, arruffona, priva di idee, disorganizzata in attacco e presa a pallettate in difesa sia dall’arco che sotto canestro. In ultima analisi, la squadra ospite appare sfiduciata, ed è un linguaggio del corpo che con grande sollievo ci eravamo disabituati ad osservare in uomini in canottiera alabardata. Il passivo supera abbondantemente i 20 punti, con la festa sugli spalti che preannuncia un noioso garbage time lungo venti minuti. Sembra un salto indietro negli anni, e non è una bella sensazione. 

E invece, la parola resa non fa parte del DNA della squadra di Jamion Christian, il quale durante l’intervallo deve aver evidentemente sputato anche l’ugola. Trieste si ripresenta in campo riappropriandosi di quella faccia tosta e quella determinazione che avevano caratterizzato l’intero inizio di stagione. La squadra riesce ad approfittare sorniona di un atteggiamento un po’ altezzoso e prematuramente sicuro del risultato con il quale la squadra di Galbiati approccia la ripresa, ma c’è anche molta più concentrazione difensiva ed a rimbalzo a spiegare una rimonta che non viene completata, alla fine, principalmente a causa della serata decisamente storta in attacco. Non c’è, dunque, da sorprendersi che Trieste ad un certo punto abbia nelle mani il possesso del +1 quando manca ancora una vita da giocare, riprendendo per la coda una situazione apparentemente disperata nonostante la partita difficile di Colbey Ross, quella decisamente inguardabile di Denzel Valentine e quella offensivamente anonima di Jarrod Uthoff. Che poi i biancorossi si inceppino proprio sul più bello, commettendo errori anche banali che spianano la strada alla capolista anziché ribaltare definitivamente la contesa, sta nell’ordine delle cose: Trento può permettersi di schierare dieci giocatori tutti in doppia cifra in quanto a minuti di impiego, nessuno in campo, però, per più di trenta minuti. Trieste, dal canto suo, ne schiera quattro per più di trenta minuti e tre che non si avvicinano ai 20 con Michele Ruzzier unico della pattuglia italiana a superare i 10 minuti. E’ evidente come la squadra di Galbiati si possa permettere di arrivare negli ultimi, decisivi, giri di lancetta con i migliori giocatori tutti in campo freschi e riposati, mentre Trieste debba per forza di cose pagare in lucidità al termine dello sforzo sovrumano che era stato necessario per ricucire l’intero gap nel punteggio. Che arrivino il fallo di sfondamento di Colbey Ross, il tiro aperto da tre ben costruito ma sbagliato da Brooks, il folle tiro da dieci metri di Valentine o la palla recuperata ed immediatamente restituita agli avversari da Uthoff, tutto sommato, è qualcosa che ti costa i due punti ma che ti puoi aspettare, e premia anche la squadra più lunga, più completa ed in ultima analisi più forte. L’unico rammarico rimane quello di aver subito un passivo che avrebbe facilmente essere limitato con un po’ di attenzione nell’ultima azione, aspetto da non sottovalutare, come Trieste ben sa, in ottica differenza canestri. 

A proposito di rotazioni corte, Jamion Christian rinuncia per l’ennesima volta in stagione alle prestazioni di Justin Reyes, che finora ha giocato solo un paio di scampoli di partita. Contro Trento l’apporto di un’ala capace di ricoprire più ruoli sarebbe servita come il pane, ed è una situazione che inevitabilmente si ripeterà nelle difficilissime partite che attendono Trieste da qui a Natale. Non è in discussione il debito di riconoscenza che il basket triestino, Michael Arcieri -che lo considera alla stregua di un figlio- e Jamion Christian in testa, debbono al giocatore, così come non può essere messo in dubbio l’amore nei suoi confronti di una piazza che vorrebbe con tutto il cuore attenderlo fino al pieno recupero. E’ però necessario essere pragmatici, specie se si volesse continuare a coltivare ambizioni elevate: la squadra, così com’è, è menomata perché almeno tre giocatori della second unit non godono evidentemente della fiducia del coach, e dunque si rende indispensabile l’impiego consistente di un sesto americano (del resto previsto dal costoso upgrade al 6+6 già effettuato). Nel caso in cui l’oscuro malanno che affligge le ginocchia del portoricano abbia una diagnosi e soprattutto una prognosi precisa che preveda tempi accettabili nell’ambito della stagione, varrebbe ovviamente la pena aspettarlo. Altrimenti, permettergli di guarire completamente guardandosi al contempo intorno per tappare la falla potrebbe essere un’alternativa dolorosa ma necessaria. Ma c’è ancora un po’ di tempo per evitare di arrivare a decisioni affrettate (ed abbiamo sperimentato nella passata stagione come tali decisioni non facciano parte del bagaglio culturale e professionale di Michael Arcieri), sebbene l’argomento non può non aver sfiorato la considerazione del GM, con tutta la delicatezza e la discrezione del caso.

La partita di Trento, alla fine, restituisce la consapevolezza di una distanza non certo incolmabile fra le due formazioni, che si aggiudicano due quarti ciascuna, con Trieste addirittura a prevalere 75-74 nella valutazione complessiva. Le due squadre pareggiano la lotta a rimbalzo, grazie ad un Jayce Johnson sempre più convincente (alla fine fra i migliori dei suoi) ed all’esecuzione da manuale del tagliafuori da parte di Uthoff e Brooks. Trento prevale in modo netto solo nella percentuale da tre e nel numero di triple segnate, che alla fine scavano la differenza nel punteggio. Ovviamente, se la miglior difesa del campionato riesce a limitare a 68 punti la produzione offensiva di uno dei migliori attacchi, va oggettivamente osservato come il punto di forza dell’Aquila abbia funzionato a dovere, mentre quello di Trieste abbia fallito la missione. Una sconfitta, comunque, che se da un lato costa due punti in classifica, dall’altro è tutto sommato accettabile e mitigata dalla voglia di reagire dimostrata e la capacità di recuperare in una situazione apparentemente compromessa in un ambiente che alla fine festeggiava come dopo la conquista di un trofeo, a testimonianza di quanto temuta fosse questa partita e di quanto spavento Trieste sia riuscita a generare nell’ultimo quarto.

Ora un po’ di riposo per riprendersi dalla lunga trasferta e lavare via le scorie negative che ogni sconfitta si porta dietro, e poi sarà tempo di preparare un’altra sfida affascinante, quella mancata nei playoff della passata stagione di A2, incrocio evitato che ha permesso a Trapani e Trieste di presentarsi entrambe con i galloni di matricole terribili ai nastri di partenza in Serie A. La Trapani di Antonini e Repesa è forse ancora più completa e potenzialmente più temibile di Trento, però domenica prossima si giocherà in un PalaTrieste che mai come in questa occasione dovrà fare la differenza.

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