Voglio trovare un senso a questa cosa…
…anche se questa cosa un senso non ce l’ha….* Intendiamoci, chi è andato in campo nell’astronave Fernando Buesa Arena di Vitoria (dove tutto, compresa l’ultra definizione del canale YouTube, trasuda eccellenza), per affrontare una squadra che competerà ai più alti livelli in patria ed in Eurolega, ci ha messo tutto sè stesso godendosi una serata che per il momento risiede solo nei sogni più spinti di gran parte dei giocatori della Pallacanestro Trieste ed i suoi tifosi. Ma l’ennesima serata di questa disgraziata pre season trascorsa in assenza di metà della pattuglia straniera e di un italiano, ad affrontare una intensa partita ogni quattro giorni, costringe ogni volta il coach a rotazioni super limitate e soluzioni tecniche impreviste ed improvvisate, utilizzando spesso giocatori per minutaggi ed in ruoli fuori dalla logica, che permettono di arrivare alla fine della contesa in modo dignitoso ma non dicono alcunché sul reale valore di questa squadra e soprattutto non servono a quello che sono destinate: affinare la chimica fra i giocatori, perfezionare movimenti sui due lati del campo, metabolizzare i dettami del coaching staff, entrare in sintonia anche caratteriale con i compagni. E per fortuna la scelta di Francesco Nanni, per una notte promosso al ruolo di head coach per l’assenza di Jamion Christian (impegnato a Bologna nella riunione dei coach della LBA), che negli ultimi 5-6 minuti decide di non rischiare nulla togliendo dal campo i pezzi pregiati superstiti dando minuti ai giovanissimi aggregati per l’occasione, si traduce in una partita che almeno non lascia ulteriori caduti sul campo. Michael Arcieri, al termine dell’amichevole di Capodistria di sabato scorso, aveva annunciato che gli inconvenienti fisici di cui soffrono Stefano Bossi, Justin Reyes, Colbey Ross e Markel Brown fossero magagne di poco conto e che il loro mancato impiego fosse una scelta esclusivamente prudenziale al fine di arrivare all’esordio in campionato al completo ed in salute. Di fatto, nessuna ulteriore informazione in merito, ufficiale o “rubata” che sia, è trapelata dai blindati spogliatoi biancorossi, ma la perdurante assenza dei quattro lascia perlomeno interdetti, in particolare davanti all’importanza anche mediatica e promozionale rivestita dall’esibizione contro il Baskonia. In altre parole, la mancata trasferta di giocatori così fondamentali nello scacchiere di Trieste fa inevitabilmente emergere ulteriori dubbi sulle loro reali condizioni e soprattutto sulle possibilità di vederli tutti regolarmente al via domenica prossima contro Milano. Esordio in campionato che rischia di essere la prima vera uscita collettiva della squadra da fine agosto, fra giocatori che hanno giocato insieme solo pochi minuti, oltretutto in impianti lontani da quello di casa dal momento che il prolungarsi dei lavori di rifacimento del parquet del Palatrieste continua a costringere la squadra al lungo esilio alla Bonifika Arena di Capodistria o in improbabili palestre per le amichevoli. E’ probabile che dopo la terrificante sequenza di scrimmage nella prima metà di settembre e le sue conseguenze sul fisico dei giocatori, Michael Arcieri avrebbe volentieri evitato di sottoporre la squadra allo strapazzo di una trasferta così complicata e di una partita già difficile divenuta confronto impari, ma il prestigio dell’invito da parte del club basco per giocarsi il Trofeo Araba Alava Saria -peraltro programmato da mesi- e la motivazione dei giocatori, specie gli italiani ed i più giovani, di vivere un’esperienza che probabilmente non avevano mai vissuto prima in un ambiente del genere, rende comunque positivo, se non significativo, questo impegno, l’ultimo prima dell’inizio ufficiale della stagione. Vogliamo comunque trovare un senso alla serata dal punto di vista tecnico, dicevamo. Certo vedere a lungo in campo un quintetto composto da Ruzzier, Deangeli, Campogrande, Candussi e Brooks, non fosse che quest’ultimo di nome fa Jeffrey e non Eli, ci riporta indietro di sei mesi, quando gli stessi cinque duellavano, perdendo, a Latina o con la Luiss Roma. Ma oggi, oltre all’intensità atletica, è il diverso atteggiamento a colpire: Trieste con ogni quintetto è arrembante e sfacciata, fa quello che può dal punto di vista fisico ma non si lascia intimidire, tenendo testa in modo convincente ad una compassata formazione condotta dall’ex “triestino” (per breve tempo) Pablo Laso. Le rotazioni a disposizione, peraltro, non permettono particolari voli pindarici: Valentine, Uthoff e Johnson -unici sani fra gli americani- vengono utilizzati con il misurino, raramente tutti insieme se non nello starting five, concedendo loro lunghi periodi di rifiato. Da loro arriva qualche lampo da lontano, peraltro fuori ritmo e spesso figlio di iniziative personali (specie per il Barba) e grande, grandissima sofferenza sotto canestro su entrambi i lati del campo, dove sia il lungo californiano che Francesco Candussi -nelle rarissime occasioni nelle quali si avventura nel pitturato- subiscono a dismisura la debordante fisicità di avversari che nemmeno si accorgono dei tentativi di tagliafuori, oppure arrivano senza apparente opposizione al ferro dopo aver battuto il diretto difensore con il primo passo. Ciò nonostante, finché ha benzina nelle gambe, una coraggiosa Trieste tiene botta in modo credibile, prendendosi addirittura sette punti di vantaggio nel primo quarto (nel quale subisce comunque 27 punti) e completando poi una prima frazione decente, con buone percentuali da fuori e la confortante striscia di Luca Campogrande che conferma anche in Spagna il suo buon momento, specie nel primo tempo, infilando addirittura un gioco da sei punti (tripla con fallo, rimbalzo sull’errore al tiro libero e nuova tripla), ma soprattutto difendendo in modo convincente e con ottima intensità. Anche Francesco Candussi, quando è libero di allontanarsi dall’area, dimostra di non aver perso l’ottima vena al tiro da tre, però si dimostra troppo poco dinamico per poter fungere da backup di Johnson a lungo quando è costretto ad avvicinarsi al canestro. Per contro, il californiano si batte anche a gomitate sotto il ferro, si dimostra ancora talvolta impacciato nelle conclusioni ma trova comunque la via del canestro, stavolta anche partendo dal post basso, e si dimostra il solito buon rimbalzista. Difesa che non è esattamente la mission spagnola di Valentine e Uthoff -peraltro i terminali più pericolosi in attacco- costantemente in ritardo nelle chiusure e molto pigri nel chiudere la porta dal perimetro alle incursioni