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Superata anche Nardò, fra luci e ombre

Articolo tratto da Tsportinthecity, a firma Francesco Freni

PALLACANESTRO TRIESTE – HDL NARDO’ BASKET 96-82

Pallacanestro Trieste: Bossi 2, Filloy ne, Rolli ne, Reyes 21, Deangeli 9, Ruzzier 12, Camporeale ne, Campogrande 9, Candussi 15, Vildera 4, Ferrero 12, Brooks 12. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni.

HDL Nardò Basket: Parravicini 10, Smith 28, Nikolic 0, Iannuzzi 12, Ferrara 2, Stewart Jr. 17, Maspero 5, La Torre 8, Trunic ne, Donda 0. Allenatore: G. Di Carlo. Assistente: G. Castellitto. 

Parziali: 26-21 / 23-20 / 24-27 / 23-14

Progressivi: 26-21 / 49-41 / 73-68 / 96-82

Arbitri: R. Radaelli, P. Pecorella, A. Tirozzi

(Photo Credit Sito ufficiale Pallacanestro Trieste)

Continua a vincere, questa strana creatura plasmata da coach Christian a sua immagine e somiglianza. E’ bene partire da questo fatto incontrovertibile, perché a suon di continuare a cercare quali siano i granelli di sabbia in un ingranaggio ancora ben lungi dall’essere perfetto, si rischia di perdere di vista l’unico aspetto che, in questa stagione da vivere in apnea, conti davvero: i due punti al termine di ogni partita. 

Granelli di sabbia che però, finita questa benevola luna di miele con il campionato che ha offerto a coach e squadra un periodo supplementare di rodaggio a basso rischio (parliamoci chiaro, Orzinuovi, Chiusi e Nardò saranno pure dotate di buone individualità ma dovranno lottare con il machete fra i denti per non essere fra le sei retrocesse) rischiano di diventare macigni a mano a mano che l’asticella delle difficoltà comincerà ad alzarsi, ad iniziare dalla trasferta di domenica prossima a Cento, formazione di livello leggermente superiore rispetto alle prime tre affrontate, per decollare definitivamente dalla prossima partita casalinga contro la Fortitudo di Attilio Caja, unica squadra del girone Rosso, assieme a Trieste, ancora a punteggio pieno. E dunque sarà bene intensificare il processo di autoanalisi, riconoscimento e correzione dei difetti per compiere un deciso e definitivo step di crescita nella consapevolezza e nella cattiveria, per evitare che la squadra si adagi pericolosamente su di essi come qualcosa di genetico, strutturale e difficilmente modificabile. 

Ci sono pecche, come ad esempio l’insufficiente percentuale nel tiro da tre con la quale Trieste si è esibita all’esordio contro Orzinuovi e contro Chiusi domenica scorsa, che non destavano da subito particolari preoccupazioni, dal momento che la qualità dei tiratori a disposizione del coach non lasciava dubbi sul suo progressivo miglioramento: ed infatti alla terza uscita i biancorossi raggiungono il 44% da oltre l’arco su ben 36 tentativi, ed il risultato è tradotto nei 96 punti segnati. Ma ci sono anche aspetti che, essendo una costante dall’inizio della pre season, cominciano a preoccupare perché non sembrano mostrare cenni di cambiamento partita dopo partita. 

Che il backcourt, l’aspetto difensivo (tolte alcune ben note eccezioni) non sarebbe stato nel DNA di questa formazione come sua qualità migliore lo si poteva intuire da subito, al momento della scelta dei giocatori che avrebbero composto il roster, ed anche per la vocazione prettamente offensiva dell’allenatore americano. Ma che il tagliafuori difensivo sia diventato un fondamentale talmente demodé da concedere ben 22 (ventidue!!) rimbalzi offensivi a Nardò, con tutto il rispetto dovuto a gente come Iannuzzi e La Torre, questo magari era meno prevedibile. Anche perché i 22 rimbalzi si sono trasformati in 22 punti, e ciò significa che per metà delle volte nelle quali si è concessa la carambola agli avversari, questi hanno capitalizzato la seconda chance gentilmente concessa. Trieste, a ben vedere, è stata sovrastata a rimbalzo nell’arco di tutto l’incontro: il 35-47 nel confronto contro la squadra pugliese è impietoso, figlio anche di rotazioni talvolta avventurose (Candussi e Vildera contemporaneamente in panchina con i soli Ferrero, Deangeli e Reyes, che lunghi non sono, a battagliare nel pitturato). Rimangono troppi anche i tiri in campo aperto concessi agli avversari, bravi a trovare l’uomo libero con l’extrapass, ma anche facilmente prevedibili. Talvolta pigri gli aiuti difensivi sulle penetrazioni, troppo bassa l’attenzione sui tagli dal alto debole. Ancora una volta, Trieste è graziata dalle basse percentuali degli avversari, ma non è sempre Natale (soprattutto ad ottobre), e prima o poi, appena coach esperti e giocatori più talentosi fiuteranno la falla come un difetto su cui costruire parte del loro piano partita, tale indolenza si rivelerà esiziale.

Un’altra costante di questa prima fase di stagione è la tendenza ad accendersi e spegnersi più volte nell’arco della partita. A fiammate di gioco divertente e veloce accompagnato da buona pressione difensiva, che si traducono spesso in vantaggi piuttosto consistenti che sarebbe opportuno preservare, i biancorossi alternano periodi più o meno lunghi di abulia totale, di gioco involuto e confusionario, di palle perse in modo banale (ben 15 contro Nardò), subendo di conseguenza controbreak pesanti, come il 17-1 contro Orzinuovi, come gli ultimi tre minuti di primo tempo a Chiusi costati il -11 dell’intervallo, o come il 14-1 contro Nardò, con ospiti che dal -16 tornano addirittura a -3 nel terzo quarto. Mettere completamente l’inerzia nelle mani degli avversari può non rivelarsi tombale contro squadre che non sono in grado di approfittarne fino in fondo, ma cosa succederà quando Trieste metterà in ritmo Fortitudo, Udine o Forlì? Di buono c’è che ad ogni periodo di down, finora è corrisposto un ritorno di fiamma poi rivelatasi vincente, ma sarebbe preferibile cercare di diventare più cinici, più cattivi nel controllo del punteggio quando il gap consiglierebbe maggiore costanza per finire la partita in tranquillità senza necessariamente sprecare eccessive energie che nell’arco di una stagione così lunga e sfiancate potrebbero rivelarsi vitali. 

Anche i frenetici cambi, che talvolta stravolgono completamente i quintetti anche nel loro concept passando in cinque minuti da quattro piccoli e un lungo, due lunghi e due playmaker, tre playmaker, zero lunghi, rischiano di privare questa squadra di un’anima, di una identità precisa, di capacità di reiterare ed automatizzare i meccanismi, di stabilizzare responsabilità e gerarchie. Ovviamente avere la possibilità di centellinare i minutaggi dei propri giocatori, preservandoli nel caso commettano secondi o terzi falli, ti restituisce nel finale una squadra fresca, lucida e con gli uomini più affidabili ed efficaci a disposizione, l’esatto contrario di quanto succede alle avversarie. In ognuna delle prime tre vittoriose partite di campionato è stata proprio questa la qualità del roster che ha maggiormente contribuito alla conquista dei due punti: quando gli avversari, prodotto il massimo sforzo e rimessa in piedi la partita, cominciano a vedere il mondo a pois ed iniziano ad essere poco lucidi nelle scelte, Trieste continua come un martello ad elevare la qualità del proprio gioco, controllando con facilità i minuti finali di partita. Vogliamo pensare che quella attuale sia ancora una fase semi sperimentale, da sfruttare per comprendere meglio i quintetti più affidabili, quelli più adatti ad affrontare determinate situazioni. Sembra, in altre parole, un rischio calcolato, un ritmo di rotazioni che rimarrà sempre alto per gli standard ai quali siamo abituati ma che presumibilmente si stabilizzerà con il procedere della stagione. 

Permangono dubbi, inoltre, sul giocatore che deve reggere le redini del gioco, dettare i ritmi, chiamare i giochi. L’aternanza continua fra Brooks, Ruzzier e Bossi toglie punti di riferimento, con la conseguenza che talvolta il gioco sembra molto istintivo, basato sull’improvvisazione e l’iniziativa dei singoli, o finalizzato esclusivamente a creare qualche centimetro di libertà per il tiro da oltre l’arco. C’è la possibilità che, trattandosi di qualcosa di inedito in via Flavia, un gioco veloce che porta preferibilmente a concludere nei primi dieci secondi di azione venga scambiato per assenza di organizzazione, mentre in verità è esattamente il fine al quale si vuole arrivare. Il problema è che, passati i primi dieci secondi per la bravura della difesa avversaria, quando le conclusioni devono essere giocoforza costruite con pazienza, la squadra non ne possegga poi molta, e cerchi spesso una soluzione a più bassa percentuale di successo. Ad impersonare tale difficoltà è soprattutto Eli Brooks, per il resto ottimo difensore, dotato di buon senso della posizione a rimbalzo (peraltro naufragato con la squadra contro Nardò), e dotato di buona personalità e coraggio nei momenti delicati delle partite, ma quando si tratta di ragionare sembra cadere spesso in stato confusionale. 

Vi sono, naturalmente, anche costanti postive. La qualità di Justin Reyes non è discutibile così come le caratteristiche di Candussi, che lo rendono (nonostante la lentezza di gambe in difesa) uno dei lunghi più duttili, tecnici e strutturati dell’intero campionato. Per il resto, abbiamo assistito ad un confortante alternarsi di protagonisti, come ad esempio il Ruzzier del finale contro Orzinuovi, il Campogrande del secondo tempo di Chiusi e dei pochi minuti in cui ha potuto giocare contro Nardò prima di farsi male. Il Ferrero sui due lati del campo nel secondo tempo contro i pugliesi, gli sprazzi di grande difesa di Deangeli quando la partita lo richiede. Questa profondità di possibili finalizzatori e diversi “interruttori” del gioco sui due lati del campo, con distribuzione costante e sempre diversa delle responsabilità, dona alla squadra grande imprevedibilità, anche considerando le defezioni di Filloy nelle ultime due partite, di Campogrande per gran parte dell’ultima e di Vildera a Chiusi: quello di Trieste è un roster difficilmente battezzabile (anche per sé stesso), e dunque costruire un piano partita per affrontarlo non potrà essere un compito facile per nessuno. 

Ed infine la squadra dimostra di essere molto unita, con giocatori che comprendono l’importanza della missione, dimostrano spirito di sacrificio ed assenza di egocentrismo nonostante l’esperienza pluriennale di molti “al piano di sopra”. Dimostrano anche di trovarsi nel pieno del processo di apprendimento (ed apprezzamento) dei metodi e della filosofia di Jamion Christian, un processo della cui comprensione molti osservatori sono invero piuttosto attardati. Alla lunga, tale unità di intenti (che non sacrifica per forza completamente le individualità di spicco, sia dal punto di vista tecnico che caratteriale) non potrà che emergere e dimostrarsi un valore aggiunto rispetto a gran parte delle avversarie.

Intanto, al ritmo di una partita ogni tre giorni, domenica prossima sarà già tempo della quarta di campionato: si viaggerà sul campo di una Cento dal rendimento ondivago come un rollercoaster, capace di espugnare Verona dopo la pesante sconfitta interna con Forlì, per poi tornare a perdere malamente in casa con Piacenza. Ma quella emiliana è una squadra di livello decisamente più alto rispetto alle prime tre, squadra che si colloca nel novero di quelle che presumibilmente lotteranno tutto l’anno per entrare a pieno diritto nella griglia playoff. Sulla formazione triestina che scenderà in campo non si possono ancora fare previsioni: le condizioni di Filloy e di Campogrande sono monitorate di ora in ora, sebbene la caviglia di Campogrande (visto comunque svolgere regolarmente il riscaldamento durante l’intervallo una ventina di minuti dopo l’infortunio) desti maggiori preoccupazioni alla luce dei gravi infortuni patiti alla stessa articolazione nel recente passato. Cose che debbono comunque essere messe in preventivo nell’arco di una stagione così sterminata, e che Trieste ha numeri, mezzi e soluzioni per assorbire.

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