(Articolo a cura di www.tsportinthecity.it)
Foto tratte dal profilo Facebook della Pallacanestro Trieste
Conclusa la prima intensissima parte di preparazione, la Pallacanestro Trieste (che finora non è mai scesa in campo al completo né durante gli allenamenti né tantomeno negli scrimmage e nei tornei disputati per concedere prudenti quanto indispensabili turni di riposo a giocatori sovra affaticati) si svela lentamente ma progressivamente al suo allenatore ed agli osservatori, confermando i suoi attesi punti di forza e limando i pochi dubbi che la costruzione del roster aveva sollevato, ma che le prime uscite non hanno del tutto cancellato. I prossimi 10 giorni saranno utili per avvicinare il gioco, specie la fluidità e la continuità da trovare soprattutto in difesa, alla filosofia cestistica di Jamion Christian, e magari per accogliere e iniziare ad integrare nel sistema Reyes, il cui mondiale ha ormai ben poco da dire. Poi sarà tempo dei primi due impegni ufficiali in Supercoppa contro le due avversarie regionali e dell’immersione nella pericolosa palude che sarà questo campionato di A2.
I gioielli della corona
Inutile girarci intorno: Trieste è dotata di almeno due elementi che con la seconda categoria nazionale non c’entrano assolutamente nulla né a livello tecnico, né a livello di esperienza né, soprattutto, a livello di leadership. L’elenco inizia (ma naturalmente non finisce) con Michele Ruzzier -tenuto a riposo per l’intera vittoriosa trasferta a Lignano- vero motore della squadra, colui che dovrà dettare i ritmi, innescare i compagni sotto canestro, spingere i contropiede, guidare i compagni nei finali difficili. Continua con un Ariel Filloy che alle già assodate doti tecniche mostra una inattesa motivazione già da queste prime poco significative uscite, un giocatore di classe cristallina, il “go to man” nei momenti più complicati, il leader designato. Sarà presumibilmente su loro due che qualunque allenatore avversario costruirà le contromisure per affrontare i biancorossi, scoprendo il fianco alle infinite soluzioni alternative su cui può contare Jamion Christian.
10 giocatori intercambiabili
Se Ruzzier e Filloy potrebbero essere elementi da quintetto nella maggior parte delle formazioni di Serie A, la qualità superiore del roster non si ferma di certo a loro. Christian si è finora potuto permettere rotazioni vorticose (dettate più dalla necessità di preservare articolazioni e muscolature più che da scelta tecnica) trovando costantemente protagonisti diversi nell’arco dei 40 minuti e fra una partita e l’altra. Ferrero e Campogrande possono diventare rebus irrisolvibili con la loro letalità da oltre l’arco, Deangeli a livello fisico ha pochi pari nella categoria ed in difesa è una brutta grana per qualunque avversario, quando limiterà gli errori causati da tiri spesso fuori equilibrio anche da sotto diverrà imprescindibile: lavoro, lavoro, lavoro. I due lunghi hanno caratteristiche diverse fra loro che consentono il loro utilizzo in diverse combinazioni, con il rientro di Bossi la squadra potrà contare su quattro giocatori teoricamente in grado di ricoprire il ruolo di point guard. Insomma, pochi punti di riferimento per le squadre avversarie, che se si aspetteranno di doversi limitare a preparare le partite per arginare un semplice run and gun commetteranno il più letale degli errori.
Un reparto lunghi intelligente
Certo, un reparto limitato a soli due giocatori di ruolo. Ma sia Arcieri che Christian considerano i limiti della definizione di “quattro” o di “cinque” delle semplici questioni giornalistiche. Il basket moderno per come lo considerano loro prevede giocatori duttili, in grado di cercare e trovare soluzioni tecniche diverse ed imprevedibili, spalle a canestro come nel tiro da lontano. E’ in questo senso che va letto il plotone di lunghi triestino: Vildera e Candussi possono essere impiegati anche insieme, il secondo è in grado di essere pericolosissimo da tre e necessariamente attrae sul perimetro difensori avversari che debbono così lasciare sguarnito il pitturato, dove Vildera già ora, e Reyes quando arriverà, potranno pascolare a piacimento. Aggiungendo il fatto che ben poche squadre in A2 sono dotate di italiani o stranieri di peso tecnico e di tonnellaggio significativi, ecco che il gioco alto-basso, il gioco profondo, il pick and roll, il post basso diventeranno armi alternative ma altrettanto letali nelle mani di Christian. Chiedere a Pillastrini ed ai giocatori di Cividale, convinti di doversi svenare per limitare la pioggia di bombe e finiti a doversi appendere letteralmente alle braccia di Candussi per limitare i danni, incassando comunque 34 punti solo dal lungo di Palmanova.
Il valore aggiunto: la comunicazione
Sarà che in questa fase la necessità maggiore è costituita dalla veloce assimilazione delle novità tecniche volute dal coach, una sorta di costante “primo giorno di scuola” ad ogni allenamento, ad ogni partita. Però è evidente come la squadra si stia cementando incontro dopo incontro, azione dopo azione, di come i giocatori cerchino di collaborare fra loro sia in attacco che in difesa, di come il coach ed i suoi assistenti siano sempre a bordo campo ad elargire suggerimenti, incitamenti, a fornire indicazioni, di come il collettivo stia diventando progressivamente l’anima vincente del team a sacrificio delle individualità e dei piccoli egoismi, fatta salva l’esizialità delle scelte dei fuoriclasse di cui sopra quando decidono che è arrivata l’ora di mettere a posto definitivamente la situazione (ma anche considerando che il work in progress rende al momento indispensabile il loro apporto “tradizionale”: più ci si addentrerà nella stagione, meno sarà determinante, se non in episodi sporadici). Attraverso la comunicazione si perfezionerà la chimica e, in ultima analisi, l’anima, l’identità di questa squadra.
Variabili o certezze? Coach e giocatori stranieri
Se le caratteristiche di Justin Reyes sono ben note dopo un anno e mezzo in Italia, la scelta caduta su un giocatore che teoricamente è più un esterno che un lungo, sebbene ineccepibile considerando le qualità tecniche e fisiche del giocatore, aveva lasciato qualche perplessità. Dubbi e curiosità naturalmente amplificate quando si parla del suo compagno Eli Brooks e, soprattutto, della conduzione tecnica di un coach indubbiamente preparato ma privo di qualunque esperienza in campionati non dilettantistici, tantomeno fuori dai confini americani, figurarsi oltreoceano. L’apporto di Reyes potrà essere valutato abbastanza presto, dal momento che la sua Portorico è stata eliminata proprio dall’Italia di Pozzecco ai Mondiali di Manila: sebbene durante la kermesse in estremo oriente non sia praticamente mai stato impiegato, in A2 potrà ricoprire senza sforzo almeno tre ruoli, guardia, ala piccola ed ala grande, ma all’occorrenza è dotato di buone capacità di handling che gli permetteranno di spingere le transizioni e di verticalità a rimbalzo offensivo, che lo rende competitivo anche contro centri fisicamente più attrezzati di lui.
Dopo le perplessità sollevate all’esordio contro BYU, a dire il vero più per questioni fisiche che tecniche, Eli Brooks partita dopo partita sta dimostrando grande personalità, discrete capacità di lettura delle situazioni, predilezione nel far giocare la squadra (contro Cividale fungeva da unico playmaker titolare) rispetto a conclusioni personali alle quali peraltro non si sottrae all’occorrenza. Nonostante gambe non certo esplosive sembra un buon difensore ed ha senza dubbio un buon istinto nel posizionarsi a rimbalzo. Le sue prestazioni sempre più convincenti, le sue scelte in campo ed una personalità che trasmette sicurezza stanno lentamente ma inesorabilmente rendendo più comprensibile la fiducia ostentata dal coach e da Mike Arcieri, che lo hanno fortemente voluto a bordo come prima scelta assoluta. L’intesa con i compagni cresce a vista d’occhio sebbene presenti ampi margini di miglioramento in attacco. Il giocatore, del resto, sembra motivato a far bene, forte anche di un curriculum di tutto rispetto come leader in una squadra universitaria importante. In conclusione, la sensazione dopo quattro partite ininfluenti è che nel reparto piccoli i titolari saranno altri, specie negli arrivi in volata, senza però che questo destabilizzi il giocatore dal punto di vista emotivo.
Coach Jamion Christian è, infine, indicato da più parti come il maggiore rischio corso da Arcieri nell’allestimento di una squadra che deve vincere da subito. La preparazione tecnica dell’allenatore non è in discussione, così come le sue idee innovative sul tipo di basket da proporre, soprattutto in difesa. Piuttosto è la capacità di comprensione e metabolizzazione della pressione derivante dall’inedito clima di un campionato nel quale ogni partita, ogni risultato, finanche ogni singolo possesso potrebbero fare la differenza fra la promozione ed il fallimento, il punto di maggiore curiosità ma anche di maggiore apprensione specie fra i detrattori della scelta. Christian pare aver studiato a fondo il mondo nel quale sarebbe andato a lavorare, ben prima di arrivare a Trieste. Conosce i suoi giocatori dal punto di vista tecnico, sta bruciando le tappe nell’entrarne in sintonia anche sotto l’aspetto caratteriale. Dimostra, inoltre, di non essere un talebano nel voler imporre innovazioni e filosofia: all’occorrenza torna alla tradizione, si affida ai suoi assi, propone un gioco più interno che dal perimetro sorprendendo e confondendo gli avversari. E’ motivatissimo, costantemente con uno o entrambi i piedi in campo per comunicare, incitare, aiutare. Ed inoltre è entrato apparentemente subito in sintonia con Nanni e Carretto, i suoi assistenti, che lo completano e smussano i difetti di comunicazione derivanti dalla lingua, sebbene tutti nella squadra conoscano a sufficienza il gergo inglese “da lavoro”. I primi assaggi del clima che vivrà nelle palestrine di mezza Italia sono propedeutici a portarlo a tempo record in pari, mettendo le basi per il progetto pluriennale che la proprietà ha intenzione di costruire su di lui.
Giovani alternative?
Su Rolli, Antonio, Pieri e Obljubech è necessaria una riflessione ed una riserva di giudizio. Contro BYU, Kapfenberg, Forlì e Cividale è stato concesso loro minutaggio importante anche in momenti topici degli incontri. Ma, a differenza ad esempio di quanto attuato per scelta come politica aziendale dai ducali di Pillastrini, l’impiego dei giovani è qui dettato esclusivamente dal dover portare a referto 10 giocatori lasciando a riposo numerosi senior. E’ probabile, se non certo, che quando le danze inizieranno sul serio, il loro apporto tornerà ad essere solo marginale e limitato agli allenamenti. E’ però importante la fiducia accordata loro da coach Christian, che ha l’evidente esigenza di portarli ad assimilare perfettamente giochi e filosofia, atteggiamento ed integrazione con i compagni titolari, in modo da averli pronti per ogni eventualità (ed in un campionato da 32 partite senza contare i playoff, senza voler essere menagrami, le probabilità che tali eventualità si avverino sono perlomeno significative). Loro rispondono presente, però è necessario che elevino il loro tasso di personalità e coraggio, prendendosi responsabilità importanti anche in attacco senza limitarsi all’atteggiamento.
Il clima da corrida
La finale del memorial Bortoluzzi contro Cividale è solo un tiepido assaggio. Al netto della rivalità da derby regionale, la reazione furiosa dei ducali in una partita che contava quasi nulla, e che ha fatto loro sfiorare la vittoria seppur contro una Trieste dimezzata è indicativa del fatto che contro i biancorossi tutte le squadre, soprattutto quelle nettamente inferiori sulla carta, daranno il 150%, tireranno fuori energie insospettate, ricorreranno soprattutto alle brutte maniere, vorranno conquistare a tutti i costi una vittoria che di per sé varrebbe mezzo campionato. Ed inoltre, in palazzetti minuscoli, l’aspetto ambientale rasenterà talvolta l’infernale. Difficile immaginare gente come Filloy o Ruzzier, ma anche Vildera o Reyes, impressionati dal tifo ostile, ma la squadra dovrà essere sempre sul pezzo, non alzare mai il piede dall’acceleratore, uccidere le partite il prima possibile senza lasciare spiragli di recupero, stroncandoli eventualmente sul nascere evitando di dare agli avversari il coraggio di Davide contro Golia. Senza contare, poi, come la pre season dei tornei in regione stia confermando i pronostici sulla qualità delle avversarie più pericolose, a cominciare da Udine e Forlì, per aggregare al club anche una Fortitudo che ha in Caja il valore aggiunto più evidente, ed aggiungendo la Torino di Ciani, apparsa un po’ più attardata rispetto alle altre favorite ma facilmente pronosticatile fra le protagoniste del girone Verde. Più facile a dirsi che a farsi, naturalmente, specie in un campionato così lungo, ma perdere punti in classifica incorrendo in sconfitte inopinate frutto di un atteggiamento altezzoso o pericolosamente rilassato in qualche frangente potrebbe rivelarsi esiziale in vista del risultato finale, l’unico veramente accettabile al termine di un campionato che nessuno a Trieste avrebbe voluto disputare.