Sorridente, sicuro di sé, con le idee già piuttosto chiare sul suo ruolo ed il suo compito, ma anche delle difficoltà che lo aspettano e del modo di confrontarsi con esse, sembra molto più giovane rispetto ai suoi 41 anni. Jamion Christian si presenta “di persona” alla stampa locale, accompagnato nell’occasione dal GM Mike Arcieri, che ha raccontato il processo che ha portato alla scelta del coach americano per affrontare una delle stagioni più difficili e delicate della storia recente del club, oltre a fungere da traduttore simultaneo.
Coach e GM (il primo allora nel suo anno sabbatico ed il secondo ancora a Varese) si erano conosciuti per caso otto mesi fa quando Arcieri partecipò ad una puntata del podcast di Christian “Last Call”, ed avevano chiacchierato di filosofia cestistica, metodologie di allenamento, di valori sportivi ed etica di lavoro, senza un’idea precisa sul futuro. Quando poi il manager di NYC, nel frattempo arrivato a Trieste nel drammatico periodo post retrocessione, ha dovuto cominciare a sfogliare la margherita per scegliere la nuova conduzione tecnica della squadra, fra le decine di candidati e di conseguenti colloqui il pensiero è tornato a quell’incontro. A colpire Arcieri, oltre alla profonda conoscenza tecnica del gioco, era stato soprattutto l’aspetto umano, la capacità di entrare in empatia con le persone, di metterle al primo posto non solo dentro al campo da gioco, oltre alla sua passione per la pallacanestro: esattamente come per la scelta dei giocatori, è stato proprio l’aspetto umano il vero motore che ha portato GM e proprietà a puntare l’attenzione su di lui.
“Sono molto contento di essere qui – queste le prime parole di coach Christian – e sento la responsabilità del ruolo in questo posto carico di storia. Sento la responsabilità di essere il leader di questi giocatori e sono pronto a questa sfida. Adoro questo gruppo di giocatori e quanto loro in primis vogliano bene ai loro tifosi. Sono tutti pronti a questa sfida, cosa che ci darà soddisfazione lungo il percorso. Per noi tutti si tratta di una grande opportunità di crescita, soprattutto nell’integrare diverse idee, stili di gioco, approcci al lavoro. Sono contento perché dopo soli pochi giorni di allenamento anche i ragazzi stanno facendo proprie queste idee, si vede già una chimica tra di loro. La A2 è un campionato estremamente difficile, conterà la nostra capacità di resilienza e di affrontare insieme le difficoltà per uscirne più forti, di arrivare agli appuntamenti importanti con una condizione fisica e tecnica in crescita. La squadra lo ha capito, sa perfettamente che siamo tutti coinvolti in questo processo. Lavoreremo singolarmente con i giocatori affinché per ognuno di loro possiamo capire come portarlo al massimo della condizione. Consiglio a tutti i nostri tifosi di abbonarsi perché sono sicuro che quest’anno ci sarà da divertirsi”. Su Eli Brooks e le teoriche difficoltà di inserimento in un sistema ed in un ambiente a lui sconosciuti: “Eli ha solo 24 anni, ma per maturità e QI cestistico ne dimostra trenta. Sa fare un po’ di tutto, sa correre in contropiede ma anche gestire i ritmi, gli piace attaccare il ferro ma anche far giocare i compagni. Mi piace che i veterani della squadra, da Ferrero a Filloy lo abbiano preso sotto la loro ala protettrice, lo accompagnano passo per passo nel processo di integrazione, e poi i ragazzi lo portano fuori anche dopo l’allenamento, gli fanno conoscere la città. Non avrà alcun problema”. Per quanto riguarda il fatto che probabilmente tutte le avversarie daranno un po’ di più contro Trieste, specie in difesa e specie per bloccare le bocche da fuoco da tre biancorosse: “è vero, studieranno il modo di fermarci. Ma noi abbiamo dieci giocatori da rotazione, non giocheremo in sei o sette. E comunque faremo prima di tutto in modo che anche gli altri fatichino l’impossibile per arrivare al tiro. Abbiamo anche noi le nostre armi“
Molto “Made in USA” la metodologia di lavoro del coach: “Se ho imparato qualcosa per vincere in questi dieci anni da head coach, è essere bravo a delegare. Per questo abbiamo scelto due ottimi collaboratori con una profonda conoscenza del campionato. Ognuno di loro, e ci aggiungo anche i preparatori atletici, ha la sua area di responsabilità, lavoreranno individualmente con i giocatori, troveranno soluzioni tecniche in preparazione delle partite. Il mio compito è più di indirizzo, di sintesi di tutto questo lavoro che viene declinato in campo come all’uscita di un imbuto, di leadership, di formazione di chimica di gruppo“. Un po’ quello che Dalmasson fece prima con Praticò e Legovich, poi con lo stesso Legovich e Franco Ciani.
Infine, Arcieri affronta l’interrogativo più grosso relativo ai giocatori arrivati durante l’estate: il ginocchio infortunato di Justin Reyes. Il GM è piuttosto rassicurante: “Con Justin ci siamo sentiti ogni due giorni da giugno ad oggi. Ho sentito il team medico che lo ha seguito negli Stati Uniti per il processo di recupero e fisioterapia, ricevendo rassicurazioni e garanzie sul suo completo e totale recupero. Mi sto rapportando con frequenza anche con il GM ed il medico della nazionale di Portorico, tutti concordano sul fatto che Justin sia in perfetta forma. Vedendolo giocare, anche se ha tirato poco perché non gli passano mai la palla, ho rivisto il giocatore che avevo ammirato in G-League e Summer League e che mi aveva convinto a portarlo a Varese. Salta, va in contropiede, può giocare in quattro ruoli, anche da cinque se serve. E’ un giocatore totale“